A maggio, quando Microsoft annunciò il primo aumento dei prezzi delle sue console Xbox, sembrava una misura eccezionale, dettata dai problemi contingenti della catena di fornitura. Il nuovo rincaro, a distanza di pochi mesi, mostra invece che non si trattava di un episodio isolato ma dell’inizio di una tendenza più duratura.
Dal 3 ottobre le console della casa di Redmond subiranno un ulteriore rincaro negli Stati Uniti, il secondo nel giro di sei mesi, che porterà la Series S da 1 TB a circa 450 dollari e la Series X a 650 dollari. Ancora più marcato l’aumento per l’edizione speciale Galaxy Black da 2 TB, che sfiorerà gli 800 dollari.
Microsoft ha spiegato che gli aumenti sono dovuti a “cambiamenti nell’ambiente macroeconomico”. Dietro questa formula si nasconde un fattore ben preciso: i dazi imposti dal presidente Donald Trump sulle importazioni da hub manifatturieri come la Cina.
L’impatto è diretto: i costi di produzione aumentano, i margini si riducono e le aziende non possono che scaricare parte del peso sul consumatore finale.
A confermarlo è anche Joost van Dreunen, docente alla NYU Stern School of Business: “Questo aumento dei prezzi non riguarda tanto l’opportunismo o i costi di sviluppo del software. È piuttosto il risultato dell’incremento dei dazi e dei costi della catena di fornitura. L’hardware viene riprezzato per assorbire le nuove pressioni commerciali”.
Xbox, sei mesi di rincari
Se si sommano gli aumenti di maggio a quelli in arrivo a ottobre, la Xbox Series X avrà registrato un incremento complessivo di 150 dollari in sei mesi, mentre la Series S costerà 100 dollari in più rispetto all’inizio dell’anno.
Per l’edizione speciale da 2 TB il confronto è ancora più drammatico: lanciata meno di un anno fa a 599,99 dollari, arriverà presto a 799,99 dollari, con un balzo di 200 dollari in dodici mesi.
In un contesto segnato da inflazione e spese familiari ridotte, non è difficile immaginare che una parte dei gamer decida di rimandare l’acquisto o ridimensionare il budget.
Sony e Nintendo non stanno a guardare
Nel 2025 ci si attendeva che le console trainassero l’industria videoludica, grazie all’arrivo di titoli di peso come Grand Theft Auto VI e al debutto della nuova Switch 2 di Nintendo. Ma i rinvii nelle uscite e i rincari generalizzati hanno rapidamente raffreddato le aspettative.
Microsoft non è infatti l’unica ad aver alzato i listini: anche Sony ha ritoccato verso l’alto i prezzi delle sue PlayStation 5 negli Stati Uniti, portando la versione Pro a 749,99 dollari. Così, invece di alimentare una fase di espansione, la combinazione di nuovi hardware e giochi premium rischia di essere oscurata proprio da aumenti di prezzo e incertezze che pesano sul futuro immediato del settore.
Le dinamiche globali del commercio stanno ridefinendo un settore abituato a crescere grazie all’innovazione tecnologica e all’ampliamento della base di utenti. Questa volta, però, l’innovazione rischia di scontrarsi con i limiti del portafoglio dei consumatori.
La partita non si gioca soltanto sul terreno dell’offerta ludica ma anche su quello delle politiche commerciali e industriali che incidono sui costi di produzione. Microsoft lo ha capito bene, e con lei anche i competitor.
Non è un caso che, di fronte alle proteste dei gamer, l’azienda abbia fatto marcia indietro sul progetto di aumentare il prezzo dei giochi first-party a 80 dollari. Un segnale che il mercato è fragile e che l’equilibrio tra sostenibilità economica e attrattiva per i consumatori si sta facendo sempre più difficile da mantenere.


