Per la prima volta dopo mesi di stallo, il Senato americano ha approvato una misura che punta a limitare l’export dei chip di intelligenza artificiale di Nvidia e AMD verso la Cina.
Un voto che, di fatto, riaccende la guerra tecnologica tra Washington e Pechino, proprio mentre la stessa amministrazione Trump aveva cercato di allentare le restrizioni con un accordo firmato in estate.
Il paradosso è evidente: da un lato gli Stati Uniti ammettono che le regole troppo rigide rischiano di danneggiare le proprie aziende, dall’altro si presentano come difensori della competitività nazionale.
Nvidia, in particolare, ha affermato che gli Stati Uniti restano il suo primo mercato ma che la legge, “pur animata da buone intenzioni”, tenta di risolvere un problema inesistente.
La misura, inserita nel disegno di legge annuale sulla difesa, deve ancora superare il vaglio della Camera dei Rappresentanti, che aveva approvato una versione priva delle nuove restrizioni. E anche se il percorso legislativo resta incerto, il segnale politico è chiaro: l’intelligenza artificiale si conferma una questione di sicurezza nazionale.
Lo ha ribadito Brad Carson, presidente della non profit Americans for Responsible Innovation, definendo il voto “una grande vittoria per la competitività economica e la sicurezza degli Stati Uniti”.
Jensen Huang tra due fuochi
La posizione di Nvidia in questo braccio di ferro è delicata. Da un lato, il colosso di Santa Clara è il campione tecnologico su cui l’America conta per non perdere terreno nella corsa globale all’intelligenza artificiale. Dall’altro, è anche una delle aziende più esposte al mercato cinese, che rappresentava fino a poco tempo fa una quota significativa dei suoi ricavi.
Proprio per questo le ultime mosse di Pechino hanno colto di sorpresa il CEO Jensen Huang. Secondo quanto riportato dal Financial Times, il regolatore cinese di Internet avrebbe vietato alle big tech locali di acquistare uno dei modelli di chip Nvidia sviluppati appositamente per il mercato cinese.
Una decisione che si somma alle accuse antitrust già mosse contro l’azienda per un’acquisizione israeliana del 2020, e che ha spinto Huang a rompere il silenzio. “Possiamo servire un mercato solo se il Paese vuole che lo facciamo”, ha dichiarato durante una conferenza stampa a Londra, mostrando delusione ma anche realismo. “Siamo pazienti”, ha aggiunto. “Tra Stati Uniti e Cina ci sono questioni più grandi da risolvere, e lo capiamo”.
Nessun tono polemico, quindi: Huang si è detto “di supporto” a entrambi i governi, quasi a voler mantenere una posizione neutrale in una partita che, di fatto, non ammette neutralità.
Pechino risponde con l’inchiesta su Qualcomm
Mentre Nvidia cerca di mantenere l’equilibrio, la Cina ha aperto un nuovo fronte, stavolta contro Qualcomm. L’autorità di regolamentazione del mercato, la State Administration for Market Regulation, ha infatti annunciato un’indagine antitrust sull’acquisizione della società israeliana Autotalks da parte del produttore americano di semiconduttori.
L’obiettivo ufficiale è verificare se Qualcomm abbia violato la legge cinese omettendo di dichiarare alcuni dettagli dell’operazione. Ma il tempismo è eloquente: l’inchiesta arriva a poche settimane dalle accuse rivolte a Nvidia per presunte pratiche monopolistiche. In pochi mesi, due colossi americani si sono trovati sotto il microscopio di Pechino, il che è un messaggio politico più che giuridico.
Non è la prima volta che Qualcomm finisce nel mirino delle autorità cinesi. Nel 2015 aveva già pagato una multa record da 975 milioni di dollari per chiudere un precedente caso antitrust. Stavolta, però, il contesto è molto diverso: Washington sta stringendo il cerchio sui chip AI, e Pechino sembra voler dimostrare di avere strumenti legali propri per rispondere colpo su colpo.
La guerra fredda digitale
Tutto questo accade mentre il presidente Trump e Xi Jinping si preparano a incontrarsi al vertice APEC in Corea del Sud. Un faccia a faccia che difficilmente stempererà le tensioni ma che segna un momento simbolico in una competizione ormai sistemica.
La guerra dei chip non è più solo una disputa commerciale: è diventata una guerra di standard, di regole e di alleanze. Gli Stati Uniti usano le leggi sull’export come leva geopolitica; la Cina replica brandendo le inchieste antitrust.
In mezzo, le aziende tecnologiche come Nvidia, AMD e Qualcomm, in questo caso, si muovono su un terreno minato, costrette a fare diplomazia industriale per non restare schiacciate tra due potenze che considerano i semiconduttori il cuore stesso del potere digitale.


