Il tentativo degli Stati Uniti di arginare la corsa tecnologica della Cina si sta rivelando molto più difficile del previsto.
Nonostante le restrizioni imposte negli ultimi anni per limitare la capacità di Pechino di produrre semiconduttori avanzati, le aziende cinesi hanno infatti continuato ad acquistare macchinari per un valore di 38 miliardi di dollari da fornitori statunitensi, giapponesi e olandesi.
È quanto emerge da un’indagine bipartisan della Commissione della Camera dei Rappresentanti sulla Cina, che denuncia “gravi falle” nella cooperazione tra gli alleati di Washington.
Non si tratta di un problema recente. Sia le amministrazioni repubblicane sia quelle democratiche hanno provato, negli ultimi anni, a contenere lo sviluppo tecnologico cinese, convinte che la produzione di microchip sia ormai un settore strategico al pari della difesa.
La realtà però mostra che Pechino è riuscita a sfruttare le incoerenze del sistema, piegando a suo favore delle regole nate per isolarla.
Le contraddizioni dell’alleanza
Il cuore del problema sta nella mancanza di uniformità tra le regole imposte da Stati Uniti, Giappone e Paesi Bassi, ossia i tre Paesi che dominano il mercato delle apparecchiature per la produzione di chip.
Le restrizioni americane hanno impedito alle aziende statunitensi come Applied Materials o Lam Research di fornire determinati macchinari a produttori cinesi. I concorrenti stranieri, come ASML e Tokyo Electron, hanno però continuato a farlo legalmente, aggirando nei fatti il blocco.
La Commissione del Congresso, che ha ottenuto i dati direttamente dai principali produttori, sottolinea che nel 2023 gli acquisti cinesi sono aumentati del 66% rispetto all’anno precedente, arrivando a rappresentare una fetta consistente del fatturato globale di questi giganti.
“Queste vendite hanno reso la Cina sempre più competitiva nella produzione di un’ampia gamma di semiconduttori, con implicazioni profonde per i diritti umani e i valori democratici nel mondo”, si legge nel rapporto.
La competizione tecnologica e politica
Per Washington, il nodo dei chip è ormai una questione di sicurezza nazionale. I semiconduttori più avanzati alimentano i sistemi di intelligenza artificiale, le tecnologie militari e persino le infrastrutture critiche. E mentre gli Stati Uniti cercano di contenere Pechino, la Cina punta a costruire una filiera autonoma, capace di resistere a qualsiasi embargo futuro.
Alcune aziende cinesi, tra cui SwaySure Technology, Shenzhen Pengxinxu e SiEn Integrated Circuits, sono finite nel mirino del Dipartimento del Commercio americano per presunti legami con una rete segreta che avrebbe aiutato Huawei ad aggirare le sanzioni. A dicembre, Washington ha bloccato le esportazioni verso queste società ma il danno, secondo gli analisti, era già fatto.
Craig Singleton, senior fellow della Foundation for Defense of Democracies, ha sintetizzato così la nuova fase della competizione industriale: “La Cina sta tentando di riscrivere l’intera catena di approvvigionamento. Ciò che un tempo era un segmento di nicchia degli strumenti industriali è ora un campo di battaglia.”
Verso un blocco coordinato alla Cina?
Nel suo rapporto, la Commissione chiede una stretta più ampia e coordinata, che includa non solo le apparecchiature complete ma anche i singoli componenti che la Cina potrebbe utilizzare per costruire internamente i propri macchinari. L’idea è evitare che Pechino trasformi ogni lacuna normativa in un vantaggio competitivo.
Un segnale di allineamento arriva dal Giappone, dove Mark Dougherty, presidente della filiale americana di Tokyo Electron, ha confermato che le vendite verso la Cina hanno iniziato a calare nel 2024, in parte grazie a una maggiore collaborazione con Washington. “Dal punto di vista americano è chiaro che c’è un obiettivo ancora desiderato ma non ancora raggiunto”, ha commentato Dougherty.
L’industria dei semiconduttori, nata come simbolo della globalizzazione, è oggi diventata il fronte più caldo della nuova guerra economica tra superpotenze. E la partita sui chip, il cuore dell’intelligenza artificiale e dell’industria digitale, è ancora tutta da giocare.


