Ci sono notizie che all’occhio del giornalista esperto appaiono come il più classico dei gineprai. E che quindi verrebbe spontaneo trascurare in favore di altre ritenute più tranquille. Però, la notizia di Project Nimbus, della quale ci stiamo apprestando a scrivere, pubblicata originariamente da The Verge, è finita persino sui quotidiani nazionali… e quindi eccoci a parlare di Google per la seconda volta in poche ore, e non per le ragioni che vorremmo.
Dopo la nuova ondata di licenziamenti che ha colpito la compagnia, e che abbiamo riportato questa mattina, ci troviamo a commentare nuovi licenziamenti da parte del colosso di Mountain View, ma stavolta non per “diventare più efficienti, lavorare meglio, eliminare strati e allineare le risorse alle principali priorità di prodotto”. La causa, infatti, è la guerra in Palestina.
Per comprendere meglio la notizia, e quindi formulare un giudizio nel modo più compiuto possibile, è però necessario spiegare le variabili in gioco.
Chi è No Tech For Apartheid
No Tech For Apartheid è un movimento sorto in risposta alla situazione palestinese e al coinvolgimento di Amazon e Google in progetti militari col governo israeliano. È nato nel 2021 da oltre 1000 dipendenti di Amazon e Google con l’obiettivo di opporsi a Project Nimbus, ritenuto responsabile dagli attivisti del movimento di rendere più efficiente e violento l’apartheid nei confronti dei palestinesi.
I promotori del movimento hanno invitato i dipendenti di Amazon e Google a rifiutare lavori che supportino “il sistema di apartheid e il genocidio contro i palestinesi”. Hanno altresì lanciato una petizione per chiedere ai CEO delle due aziende di porre fine a tutti i legami con l’apartheid israeliano e di interrompere Project Nimbus.
Cos’è Project Nimbus
Project Nimbus è un progetto di cloud computing del governo israeliano. Il Ministero delle Finanze israeliano ha annunciato nell’aprile del 2021 che l’accordo prevede di fornire “al governo e alla difesa una soluzione cloud completa.” Secondo gli accordi, le aziende stabiliranno siti cloud locali che “conserveranno le informazioni entro i confini di Israele secondo rigide linee guida di sicurezza”.
In base a un contratto da 1,2 miliardi di dollari, le aziende tecnologiche Google (Google Cloud Platform) e Amazon (Amazon Web Services) sono state selezionate per fornire servizi di cloud computing alle agenzie governative israeliane, inclusi servizi di intelligenza artificiale e apprendimento automatico. I termini stabiliti da Israele per il contratto vietano ad Amazon e Google di interrompere i servizi a causa della pressione dei boicottaggi.
Il contratto ha suscitato critiche e condanne da parte di alcuni azionisti delle aziende e dei relativi dipendenti, che hanno espresso la preoccupazione che il progetto possa portare a ulteriori abusi dei diritti umani dei palestinesi nel contesto dell’occupazione in corso e del conflitto israelo-palestinese.
Ariel Koren, che lavorava come responsabile marketing per i prodotti educativi di Google ed era un’oppositrice dichiarata del progetto, ha dichiarato al New York Times di aver ricevuto l’ultimatum di trasferirsi a San Paolo (Brasile) entro 17 giorni o di perdere il lavoro.
Nella lettera in cui annunciava le sue dimissioni ai colleghi, Koren ha accusato Google di “complicità nelle violazioni dei diritti umani palestinesi”, e sostenuto che l’ultimatum sia stato una ritorsione per la sua opposizione al progetto.
I am leaving @Google this week due to retaliation & hostility against workers who speak out. Google moved my role overseas immediately after I opposed its $1B AI/surveillance contracts with Israel. And this is far from an isolated instance.https://t.co/V4y05kOYQv pic.twitter.com/eRMrzTPYfb
— Ariel Koren (@ariel_koko) August 30, 2022
Ariel Koren ha presentato un reclamo per ritorsione al dipartimento delle risorse umane di Google e al National Labor Relations Board (NLRB), che ha respinto il suo caso per mancanza di prove. Va osservato che secondo l’NLRB l’ultimatum era precedente alle attività della Koren.
Il mese scorso, invece, un ingegnere software di Google Cloud è stato licenziato dopo che un video in cui gridava “rifiuto di costruire tecnologia che potenzia il genocidio”, in riferimento al Project Nimbus, è diventato virale durante un evento aziendale.
La notizia di oggi
Ora che sappiamo cosa sono No Tech For Apartheid e il Project Nimbus, ci è più facile inquadrare la notizia di oggi. Come riportato da The Verge, che afferma di essere entrata in possesso di un documento interno, Google avrebbe licenziato 28 dei suoi dipendenti a seguito di alcune manifestazioni di protesta organizzate in due delle sue sedi. Questa azione arriverebbe dopo la sospensione e il successivo arresto di altri 9 lavoratori nei giorni scorsi a New York e in California.
Il licenziamento ha coinvolto dipendenti che protestavano contro l’implicazione di Google inProject Nimbus, e ha visto alcuni manifestanti occupare l’ufficio di Thomas Kurian, CEO di Google Cloud. I manifestanti sono stati allontanati con la forza dalle autorità.
In una comunicazione interna diffusa ieri, Chris Rackow, responsabile della sicurezza globale di Google, ha sottolineato che comportamenti del genere non sono tollerati all’interno dell’azienda. Rackow ha inoltre affermato che l’azienda è pronta a prendere ulteriori misure se necessario, ribadendo l’importanza del rispetto delle politiche aziendali e la possibilità di arrivare al licenziamento per comportamenti ritenuti inappropriati.
Di contro, il gruppo No Tech for Apartheid, che ha organizzato le proteste, ha descritto i licenziamenti come una grave forma di ritorsione. In un comunicato pubblicato su Medium, il gruppo ha espresso frustrazione per la mancanza di dialogo con i vertici aziendali riguardo le loro preoccupazioni, sottolineando il diritto dei lavoratori di Google di manifestare pacificamente e definendo i licenziamenti come misure punitive.
BREAKING— @google also orders for arrest of of its own workers in SUNNYVALE who sat in for 10 hours at @googlecloud CEO @thomasortk’s personal office, demanding google cut Project Nimbus, the company’s $1.2 billion contract with Israel.
arrests were caught on our livestream pic.twitter.com/pgLe4gkybY
— No Tech For Apartheid (@NoTechApartheid) April 17, 2024
In questa news, quindi, si condensa una serie di circostanze in cui non è facile districarsi. Il contratto firmato da Google, lo ricordiamo, le vieta di interrompere i servizi a causa della pressione dei boicottaggi. Si tratta di una clausola che lascia intendere che entrambe le parti sapevano che il Project Nimbus si sarebbe rivelato problematico, ma che una volta accettata proibisce al colosso di Mountain View qualsiasi passo indietro. Google poi è in lotta contro Amazon e Microsoft per il mercato del cloud, e quindi un contratto da 1,2 miliardi di dollari è di quelli cui difficilmente si può rinunciare.
D’altro canto, il diritto dei dipendenti a manifestare è legittimo ma è chiaro che occupare l’ufficio di Thomas Kurian non poteva che portare al risultato riportato nel video qui sopra. Ma già sappiamo che ci sarà chi obietterà che una manifestazione, perché abbia effetto, deve fare rumore.
Ognuno, quindi, in base ai propri orientamenti politici e civili vedrà la situazione in cui si sta trovando Google con occhi diversi. Indipendentemente che si propenda da un lato o dall’altro, la sensazione è che sia di difficile soluzione, e che lo sarà ancor di più qualora la situazione in Medio Oriente dovesse ulteriormente peggiorare.