Apple ha ritrovato la formula del successo tornando a una vecchia ricetta: far pagare di più ciò che tutti vogliono.
Dopo alcuni anni di crescita rallentata, l’azienda di Cupertino ha aumentato di 100 dollari i prezzi dei modelli di punta della gamma iPhone e, complice la forte domanda per i nuovi iPhone 17, ha archiviato un trimestre storico.
Il fatturato ha infatti superato per la prima volta i 100 miliardi di dollari, attestandosi a 102,5 miliardi, con un incremento dell’8% su base annua. Ancora più impressionante l’utile, schizzato dell’86% a 27,5 miliardi di dollari.
Wall Street aveva previsto risultati già solidi, ma non così. E infatti il mercato ha premiato Apple: le azioni sono salite di oltre il 4% dopo la pubblicazione dei conti e di un ulteriore 2% nel pre-market di venerdì, quando le previsioni per il trimestre natalizio hanno indicato una crescita tra il 10 e il 12%.
In una settimana, la capitalizzazione ha superato i 4.000 miliardi di dollari, collocando Apple nel club ristrettissimo che comprende anche Nvidia e Microsoft.
iPhone e servizi, l’asse di Cupertino
Le vendite di iPhone hanno raggiunto 49 miliardi di dollari nel trimestre, in crescita del 6%. In Cina, invece, il giro d’affari è sceso del 3,6%, ma Tim Cook ha precisato che la domanda di iPhone 17 “supera la capacità produttiva” e si è detto fiducioso in una ripresa nel trimestre in corso. Il valore del marchio, la fedeltà degli utenti e la capacità di spingere servizi come Apple Pay, iCloud e gli abbonamenti digitali, consentono all’azienda di monetizzare ogni iPhone venduto per anni.
I ricavi dei servizi sono cresciuti del 15%, a 28,8 miliardi di dollari, spinti anche dall’accordo con Google, che paga circa 20 miliardi l’anno per restare il motore di ricerca predefinito sui dispositivi Apple. Una decisione giudiziaria recente ha confermato la legittimità di questi pagamenti, garantendo ad Apple una fonte di profitti stabili e aprendo la porta a nuove opportunità: in futuro, anche le società di intelligenza artificiale potrebbero pagare per accedere agli utenti iPhone.
Il paradosso di Apple: meno IA, più profitti
Mentre i rivali si contendono il primato nella corsa all’intelligenza artificiale investendo miliardi in data center e chatbot, Apple ha rinviato il lancio di una versione evoluta di Siri, giudicata ancora non all’altezza dei propri standard, e Tim Cook ha assicurato che “il nuovo prodotto arriverà il prossimo anno”.
Questo approccio prudente ha fatto dire a Eric Clark, chief investment officer di Accuvest, che “quando sei grande come Apple, non devi muoverti in fretta: devi solo arrivarci nel modo giusto”. Una riflessione che sintetizza il paradosso attuale: pur crescendo meno in Borsa rispetto a Google e Microsoft (che da inizio anno hanno guadagnato oltre il 25%), Apple continua a macinare utili record e a mantenere il più alto margine operativo dell’intero settore tech.
Dazi, produzione e geopolitica
La politica commerciale del presidente Trump resta però un’incognita. Apple produce la quasi totalità dei propri dispositivi all’estero e la Cina, dove vengono assemblati molti iPhone, è soggetta a dazi più elevati rispetto ad altri Paesi. Pur spostando parte della produzione in India, Cupertino ha visto aumentare i costi legati alle tariffe doganali, anche dopo la decisione di Trump di ridurre i dazi dal 20% al 10%.
L’azienda ha promesso investimenti per 600 miliardi di dollari negli Stati Uniti nei prossimi quattro anni ma non si è impegnata a riportare la produzione in patria. In questo scenario, l’India diventa un tassello sempre più strategico nella mappa globale della filiera Apple, mentre gli Stati Uniti e la Cina si contendono il ruolo di partner commerciale dominante. È la nuova geopolitica del “made in Apple”, dove la logistica conta quanto il design.
Fonti: The New York Times, Reuters


