Come ben sappiamo, i droni hanno rivoluzionato la guerra nei cieli. Ora, però, il teatro delle operazioni si sta spostando verso un orizzonte ancora più inesplorato: il fondo degli oceani.
Con nomi evocativi come Ghost Shark, Herne e Manta Ray, questi veicoli autonomi sono progettati per immergersi a migliaia di metri di profondità e operare autonomamente per giorni.
Le marine militari e le aziende della difesa stanno investendo su questa nuova generazione di droni sottomarini, convinti che possano offrire vantaggi strategici nella raccolta di informazioni, nella protezione delle infrastrutture sottomarine e nel contrasto alle minacce emergenti, soprattutto nel Pacifico.
“Questo è un momento opportuno per questi veicoli”, ha dichiarato Cynthia Cook, senior fellow del Center for Strategic and International Studies, sottolineando come i droni rappresentino un’alternativa più economica ai costosi sottomarini tradizionali.
Droni avanzati per sfide estreme
Sviluppare droni subacquei di questo tipo non è un’impresa facile. Le comunicazioni a grandi profondità sono più difficili rispetto a quelle aeree e le condizioni sotto la superficie marina sono estremamente impegnative.
I recenti progressi tecnologici stanno però rendendo possibile ciò che un tempo era impensabile: batterie più durature, sensori più precisi e componenti elettronici più piccoli permettono ai droni di essere più autonomi e capaci di percorrere distanze maggiori.
Un esempio significativo è l’Orca, un drone subacqueo extra-large prodotto da Boeing, lungo 26 metri e capace di percorrere quasi 12.000 chilometri con un intervento umano minimo. Entro il prossimo anno, la Marina statunitense riceverà cinque esemplari di questo modello.
Anche l’Australia sta investendo in questo campo collaborando con la startup Anduril per il Ghost Shark, nell’ambito di un piano da 4,65 miliardi di dollari dedicato alla guerra sottomarina.
Altri progetti includono Herne di BAE Systems, in fase di test nel Regno Unito, e il Manta Ray di Northrop Grumman, che riprende nelle forme la sagoma della razza gigante.
Non sono da meno paesi come Francia, Corea del Sud e Germania, mentre l’Ucraina sta testando un drone d’attacco sottomarino chiamato Marichka.
La minaccia cinese e le sfide europee
Questa corsa alla tecnologia sottomarina arriva in un momento molto delicato per le marine occidentali.
La Cina ha costruito la più grande flotta navale di superficie al mondo e sta sviluppando i propri droni autonomi di grandi dimensioni.
Nel frattempo, in Europa, episodi di sabotaggio, come il taglio di cavi in fibra ottica, hanno sollevato timori riguardo alla vulnerabilità delle infrastrutture sottomarine, cruciali per il trasporto di energia e dati.
La NATO ha recentemente condotto esercitazioni al largo della Finlandia, utilizzando droni subacquei per proteggere queste infrastrutture.
Le molte marine europee, comunque, oggi si trovano mediamente in difficoltà. La Royal Navy britannica, un tempo la più grande al mondo, conta oggi meno di 20 cacciatorpediniere e fregate e circa 10 sottomarini.
Tim O’Neill, manager della divisione servizi marittimi di BAE, ritiene che l’autonomia dei droni potrà aiutare a colmare queste lacune operative.
Herne, il futuro della sorveglianza
Il drone Herne di BAE Systems rappresenta un esempio concreto di questa nuova generazione di veicoli.
Basato su un modello sviluppato dalla canadese Cellula Robotics per l’industria energetica, è stato arricchito con sistemi informatici avanzati, telecamere e sensori. Il veicolo è in grado di analizzare autonomamente le navi che incontra, distinguendo tra obiettivi militari e civili, e trasmettere i dati raccolti tramite un particolare periscopio.
In un recente test, Herne ha identificato correttamente due navi della Royal Navy e si è immerso nuovamente, completando una missione di sorveglianza senza intervento umano.
La sua batteria dura fino a tre giorni, ma si stanno esplorando soluzioni come celle a idrogeno, che potrebbero estendere l’autonomia fino a 45 giorni.
Pur essendo progettato principalmente per la ricognizione, Herne potrebbe essere equipaggiato in futuro con torpedini e mine, una possibilità che solleva interrogativi etici. “La decisione di usare la forza letale spetterà sempre a un essere umano”, ha dichiarato O’Neill.
Sfide economiche e strutturali
Nonostante i vantaggi strategici, questi droni non sono esenti da difficoltà. I costi di sviluppo sono elevati e la produzione è complessa. Il progetto Orca, ad esempio, inizialmente stimato a 379 milioni di dollari, ha subito ritardi e costi aggiuntivi, arrivando a 620 milioni.
Inoltre, l’ambiente sottomarino pone sfide uniche: “L’oceano è un ambiente estremamente ostile, quasi come lo spazio”, ha spiegato Duane Fotheringham, presidente della divisione sistemi senza equipaggio di Huntington Ingalls Industries.
Nonostante ciò, il futuro della guerra sottomarina sembra sempre più segnato dalla presenza di droni autonomi, destinati a trasformare non solo le strategie militari, ma anche l’equilibrio geopolitico globale.


