Quando venerdì scorso la Casa Bianca ha annunciato di aver aperto un account su Bluesky, la piattaforma nata da un’idea di Jack Dorsey e rifugio digitale della sinistra americana dopo l’ascesa di Elon Musk su X, in molti hanno pensato a una semplice operazione di comunicazione istituzionale. Ma è bastato guardare il primo post per capire che non era affatto così.
Il messaggio, accompagnato da un video-montaggio con meme, battute e clip dei primi nove mesi del secondo mandato di Donald Trump, iniziava con un ironico “What’s up, Bluesky?” e proseguiva con un tono apertamente provocatorio: “Abbiamo pensato che vi foste persi alcuni dei nostri più grandi successi, quindi li abbiamo messi insieme per voi. Non vediamo l’ora di trascorrere più tempo insieme!”.
Nel video scorrevano le immagini di un ordine esecutivo con cui Trump aveva “rinominato” il Golfo del Messico, di un fotomontaggio che ritraeva il leader democratico Hakeem Jeffries con sombrero e baffi finti, e di altri momenti virali della seconda stagione trumpiana.
Il messaggio è chiaro: la Casa Bianca non cerca di comunicare ma di stuzzicare. Di entrare in casa dell’avversario politico e prendersi gioco di lui davanti a tutti. Non che la cosa ormai stupisca: l’aveva fatto anche a inizio settembre ma su LinkedIn.
What’s up, Bluesky? We thought you might’ve missed some of our greatest hits, so we put this together for you.
Can’t wait to spend more quality time together! ❤️🇺🇸
— The White House (@whitehouse-47.bsky.social) 17 ottobre 2025 alle ore 23:21
La Casa Bianca e la politica come provocazione
L’approdo su Bluesky non è stato un caso isolato. Nel giro di poche ore, anche altre agenzie federali hanno aperto i propri account, con post che hanno accusato i democratici di essere responsabili dello “shutdown” del governo.
“Abbiamo sentito dire che questo è un ottimo posto per un dialogo aperto e onesto”, scrive sarcasticamente il Dipartimento di Stato, “quindi siamo qui per parlare di come il blocco dei Democratici stia danneggiando il Paese sulla scena mondiale.”
Diversi esperti hanno fatto notare come messaggi del genere possano violare l’Hatch Act, la legge che vieta alle agenzie pubbliche di svolgere attività politiche di parte. In ogni caso, l’obiettivo è stato raggiunto.
La reazione degli utenti progressisti è stata infatti immediata e furiosa: nel giro di 48 ore, l’account della Casa Bianca è diventato uno dei più bloccati di tutta la piattaforma, con circa 91.000 blocchi a fronte di soli 10.000 follower.
Dietro le apparenze da goliardata, c’è però una strategia precisa. Trump e il suo team comunicano con lo stesso registro dei social che criticano: quello del meme, della battuta tagliente, del “trolling” sistematico.
È la logica dell’umiliazione pubblica come forma di potere, un linguaggio che parla direttamente alla propria base e insieme irrita l’avversario, costringendolo a reagire su un terreno che non è più quello del confronto politico ma del puro scontro identitario.
Trump, il “re che non è un re”, il video virale
Solo un giorno dopo l’approdo su Bluesky, il presidente ha condiviso un video che riassume perfettamente questa estetica del potere digitale.
Lo si vede infatti in un filmato, generato con l’intelligenza artificiale, in cui Trump pilota un jet con la scritta “KING TRUMP” mentre scarica escrementi sui manifestanti delle marce “No Kings” che si sono tenute lo scorso weekend negli Stati Uniti. Indossa una corona, ride e, sotto le note di Danger Zone, il messaggio è inequivocabile.
Il video è stato pubblicato proprio nel giorno in cui oltre sette milioni di persone hanno manifestato in tutti gli Stati Uniti contro le politiche del presidente, in 2.700 raduni “legali e pacifici” organizzati da movimenti progressisti e sindacati.
Trump, di ritorno da Mar-a-Lago, ha liquidato le proteste come “uno scherzo”, accusando George Soros e “altri fanatici della sinistra radicale” di averle finanziate. Poi, con una frase che suonava quasi ironica dopo la messa in scena digitale, ha aggiunto: “Non sono un re. Lavoro duramente per rendere grande il nostro Paese, tutto qui.”
Nello stesso giorno, l’account ufficiale della Casa Bianca ha rilanciato immagini del presidente e del vicepresidente JD Vance incoronati, mentre i leader democratici Hakeem Jeffries e Chuck Schumer sono stati ritratti con sombreri, un riferimento che ha scatenato le proteste delle associazioni latinoamericane.
Quando la provocazione diventa rischio reale
Ciò che fino a pochi anni fa sarebbe stato impensabile (ossia un presidente che si diverte a provocare gli avversari da account ufficiali del governo), è oggi parte integrante della comunicazione politica americana.
L’uso deliberato dell’ironia, del linguaggio dei meme e dei video manipolati trasforma la politica in intrattenimento, e il potere in spettacolo permanente. Ma quando è la Casa Bianca a scendere in campo con le stesse armi dei troll, il confine tra satira e incitamento diventa sottile.
Questa strategia, che da un lato rafforza il senso di appartenenza dei sostenitori, dall’altro rischia di minare la fiducia pubblica nelle istituzioni.
Perché se chi governa adotta questi toni, chi si sente bersaglio della derisione finirà per non credere più né nella neutralità dello Stato né nella possibilità di un dibattito civile. E, peggio ancora, in un Paese dove la rabbia politica si traduce sempre più spesso in attentati, il rischio non è solo di erosione democratica, ma di esplosione sociale.
Fonti: The Associated Press, TechCrunch, Axios, The Sun


