L’Unione Europea ha acceso i riflettori su Meta, la società madre di Facebook e Instagram, accusandola di non gestire correttamente i contenuti illegali sulle proprie piattaforme.
È la prima volta che Bruxelles muove un’accusa formale a una piattaforma social nell’ambito del Digital Services Act, la nuova legge europea che obbliga le Big Tech a garantire maggiore trasparenza e responsabilità nella moderazione dei contenuti online.
Secondo la Commissione Europea, Meta non offre agli utenti un sistema semplice per segnalare contenuti illegali come materiale pedopornografico o di matrice terroristica.
inoltre, non fornisce strumenti adeguati per appellarsi alle decisioni di moderazione quando i post vengono rimossi o gli account sospesi. Un problematica, questa, che TechTalking ha sperimentato più volte.
Un portavoce della Commissione ha spiegato che il caso “dimostra come la legge europea protegga la libertà di espressione, consentendo ai cittadini di reagire contro le decisioni unilaterali di moderazione prese dalle Big Tech”.
Le accuse e la replica di Meta
Meta ha respinto con decisione le accuse, sostenendo di non aver violato le norme europee e di aver già modificato le proprie politiche per essere in linea con il nuovo quadro legislativo.
“Siamo fiduciosi che le soluzioni adottate rispettino i requisiti della legge”, ha dichiarato un portavoce del gruppo, confermando l’intenzione di collaborare con Bruxelles.
Le conclusioni dell’UE, tuttavia, non sono ancora definitive: la società avrà la possibilità di esaminare le accuse e rispondere formalmente alla Commissione prima che venga emessa una decisione finale.
Nel frattempo, l’indagine ha ampliato il suo raggio d’azione includendo anche un altro fronte sensibile: l’accesso dei ricercatori ai dati pubblici.
Meta è stata accusata di ostacolare le attività di ricerca indipendente, una contestazione simile a quella già mossa a TikTok. Quest’ultima ha replicato di essere impegnata nella trasparenza, pur riconoscendo la tensione tra gli obblighi europei di condivisione dei dati e le regole sulla privacy.
Trump e il nuovo fronte transatlantico
Le accuse europee a Meta non hanno, per ora, provocato una reazione ufficiale immediata da parte della Casa Bianca. La vicenda si inserisce però in un contesto già teso tra Washington e Bruxelles, dove il presidente Trump ha più volte denunciato la “discriminazione” delle Big Tech americane da parte dell’Unione Europea.
Già nei mesi scorsi, la sua amministrazione aveva definito le multe europee a Meta e Apple “una nuova forma di estorsione economica”, accusando l’UE di voler frenare l’innovazione statunitense dietro la retorica della protezione dei consumatori. Le minacce di nuovi dazi, più volte ventilate da Trump in risposta alle regolamentazioni digitali considerate punitive, restano dunque sul tavolo.
In estate, Stati Uniti e Unione Europea avevano raggiunto un accordo doganale provvisorio che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto disinnescare la guerra dei dazi; ma i negoziati sulla sua applicazione sono tuttora in corso. In questo scenario, il caso Meta rischia di diventare un nuovo terreno di scontro in una disputa più ampia sulla sovranità tecnologica e sul potere delle piattaforme digitali.
Bruxelles lancia un messaggio al mondo tech
Per la Commissione, questa indagine è molto più di una controversia tra regolatori e un singolo colosso digitale: è un messaggio rivolto all’intera industria tecnologica globale.
Le sanzioni previste dal Digital Services Act possono raggiungere multe miliardarie, e la scelta di partire da Meta indica la volontà di Bruxelles di affermare il proprio ruolo di arbitro del mercato digitale.
Negli ultimi due anni, l’UE ha già avviato oltre una dozzina di indagini contro le principali piattaforme, da Apple a Google fino a X, la società di Elon Musk. E proprio su X è ancora in corso un’inchiesta parallela sul modo in cui la piattaforma gestisce la disinformazione e i contenuti illegali.
Il caso Meta, dunque, si inquadra in una più ampia guerra normativa tra Europa e Stati Uniti, dove la libertà di parola, la sovranità digitale e la regolamentazione delle Big Tech sono diventate armi di un conflitto che non si combatte più solo sui mercati, ma anche nei tribunali e nei palazzi del potere.
Fonte: The Wall Street Journal


