C’è una parte della Generazione Z che ha deciso di premere il tasto “pausa”. Dopo essere cresciuti con lo smartphone in mano, alcuni giovani iniziano a vivere la tecnologia con distacco, scegliendo dispositivi che fanno meno, non di più.
Rinunciano a mappe digitali, social network e app di messaggistica in favore di telefoni a conchiglia, fotocamere compatte e perfino lettori CD. Una scelta che può sembrare un vezzo nostalgico ma che per molti rappresenta una forma di autodifesa da un mondo iperconnesso.
Questi giovani non cercano un ritorno al passato ma una vita in cui le notifiche non scandiscano ogni momento. In un’epoca in cui la connessione è sinonimo di presenza, la disconnessione diventa una piccola rivoluzione personale.
I low-tech, i nuovi “luddisti” digitali
Negli Stati Uniti esistono ormai gruppi organizzati che promuovono periodi di astinenza dallo smartphone. A parlarne è il Wall Street Journal, secondo cui club e associazioni studentesche nati per incoraggiare pause dal digitale, si stanno moltiplicando nei campus universitari, sostenuti dall’idea che il contatto diretto valga più di mille chat.
Si definiscono “luddisti” per provocazione ma il loro obiettivo non è distruggere la tecnologia: è recuperare il controllo. Il fenomeno si riflette anche nella cultura pop. I negozi di dischi tornano a vedere clienti, le fotocamere digitali dei primi anni Duemila diventano accessori di tendenza e persino i social, paradossalmente, celebrano la semplicità analogica.
Su TikTok, per esempio, è comune imbattersi in video che mostrano giovani intenti a usare vecchi lettori CD o cellulari con tastiera fisica, simboli di un’era in cui la tecnologia era meno pervasiva e più “umana”.
Tornare a possedere le cose
La riscoperta della tecnologia “low-tech” nasce anche da un sentimento più profondo: il desiderio di possesso.
Dopo anni trascorsi a vivere in un’economia dell’accesso, dove musica, film e persino relazioni passano da piattaforme che non appartengono a chi le usa, alcuni sentono il bisogno di riappropriarsi di oggetti reali. È per questo che tornano a comprare i succitati CD, vinili e macchine fotografiche usate: non tanto per nostalgia, quanto per il piacere di avere qualcosa di tangibile.
Come raccontano diversi giovani intervistati negli Stati Uniti, possedere un disco significa anche stabilire un rapporto più intimo con la musica, al di fuori della logica degli algoritmi e delle playlist automatiche.
La tendenza si sta consolidando al punto che alcune start-up stanno nascendo proprio attorno a questa nuova sensibilità, con servizi che inviano album fisici corredati da biglietti scritti a mano o che consigliano musica in base ai gusti personali, lontano dalle grandi piattaforme di streaming.
Disintossicarsi dallo smartphone
Dietro il ritorno alle vecchie tecnologie c’è una consapevolezza crescente: l’uso costante dello smartphone modifica il modo in cui ci si relaziona, si studia e perfino si pensa.
Alcuni giovani raccontano di aver sperimentato una sorta di “sdoppiamento” tra la vita reale e quella digitale, e di aver trovato nella semplicità tecnologica un modo per tornare presenti nel mondo fisico.
Per qualcuno è bastato cambiare telefono, per altri è stato un percorso più radicale: disattivare i social, stampare le mappe, riscoprire la carta, la scrittura a mano e il silenzio. Un ritorno al concreto che è insieme gesto estetico e presa di posizione culturale. Come sintetizza uno dei giovani protagonisti di questo movimento, “le persone, specialmente nella Gen Z, sono stanche di non possedere più nulla”.


