C’era un tempo in cui il disco rigido sembrava destinato a un lento tramonto, soppiantato da memorie flash sempre più veloci e da un mercato che lo guardava come una tecnologia ingombrante, poco affascinante, quasi d’altri tempi.
Eppure, in piena esplosione dell’intelligenza artificiale, proprio gli hard disk stanno conoscendo una seconda giovinezza. Western Digital e Seagate, i due giganti del settore, hanno infatti registrato negli ultimi trimestri crescite rispettivamente del 32% e del 45%, che pochi avrebbero pronosticato.
Il merito non è della nostalgia ma della fame di dati che i nuovi modelli di IA generano e devono gestire.
L’IA come motore della domanda
L’intelligenza artificiale consuma archiviazione digitale in modo mai visto prima. Non solo utilizza enormi quantità di informazioni per l’addestramento dei modelli, ma produce essa stessa nuovi contenuti come testi, immagini e video che vanno conservati.
Google, ad esempio, ha reso noto che nel giro di tre mesi il suo strumento Flow è servito a creare cento milioni di video generati dall’IA. Ognuno di quei file richiede spazio e sicurezza di archiviazione. E quando i dati diventano montagne di exabyte, l’hard disk resta la soluzione più conveniente ed efficace.
Per questo le spedizioni di Western Digital e Seagate sono cresciute rispettivamente del 32% e del 45% in un anno. Numeri che raccontano di un settore tornato centrale nella filiera tecnologica e che smentiscono chi dava i dischi rigidi per spacciati.
Il valore strategico dei dati
La differenza rispetto ad altre fasi di crescita, come quella legata al lavoro da remoto durante la pandemia, è sostanziale. In quel caso la domanda era stata transitoria, rientrando rapidamente col ritorno alla normalità.
Oggi invece “non esiste intelligenza artificiale senza dati e non esistono dati senza storage: loro lo sanno bene”: a dirlo è Kris Sennesael, direttore finanziario di Western Digital e la sua frase sintetizza l’essenza di questa nuova stagione.
Il valore strategico di Big Tech non è solo nel calcolo ma anche nella capacità di archiviare e rendere disponibili informazioni sempre più gigantesche.
Hard disk, vecchie certezze
Western Digital e Seagate costituiscono di fatto un duopolio, con Toshiba relegata a un ruolo di comprimario. Questa posizione dominante permette loro oggi di esercitare un certo potere contrattuale.
Non solo stanno firmando accordi di fornitura di lungo periodo ma stanno anche fissando anche i prezzi in anticipo, assicurandosi margini più solidi. I profitti lordi sono già raddoppiati negli ultimi due anni, e le aziende prevedono di ampliarli ulteriormente.
Sul piano tecnologico, entrambe stanno introducendo la registrazione magnetica assistita dal calore (HAMR), una soluzione che consente di portare la capacità dei dischi oltre i 30 terabyte.
È un risultato frutto di anni di ricerca, che consolida ulteriormente la barriera all’ingresso per eventuali concorrenti.
Perché non sono gli SSD a vincere
A molti verrà spontaneo chiedersi se i dischi a stato solido, gli SSD, non finiranno per rendere obsoleti gli hard disk anche nei data center. La realtà, però, è più complessa.
Gli SSD offrono prestazioni superiori ma costano molto di più e questo li rende adatti a operazioni ad altissima intensità ma non scalabili su volumi enormi di dati. Per questo, secondo le stime di settore, oggi tra l’80% e il 90% dell’archiviazione nei data center continua ancora a poggiare sui vecchi dischi rigidi.
Gli hard disk restano quindi la spina dorsale invisibile del cloud e dell’IA. Il futuro del settore dipenderà in larga misura dalla durata del boom dell’intelligenza artificiale, con tutti i rischi che ciò comporta. Ma il messaggio che ricaviamo da questa news appare chiaro: in un mondo affamato di dati, anche una tecnologia datata può rivelarsi fondamentale.


