C’è un termine che negli ultimi mesi ha iniziato a circolare con insistenza negli ambienti digitali: “AI slop”.
Letteralmente significa “pappone”, “avanzi”, ed è usato per descrivere i video generati dall’intelligenza artificiale che invadono le piattaforme social. Non si tratta di opere raffinate o pensate per durare nel tempo ma di contenuti a basso sforzo e ad alto volume, progettati per attirare click e monetizzare.
Basta un’idea elementare, qualche prompt dato a ChatGPT per scrivere la scenetta, un software di sintesi vocale e un generatore di immagini animato, e in pochi minuti nasce un filmato pronto a finire su TikTok, Instagram o YouTube.
Il risultato può sembrare sorprendentemente realistico, tanto da confondere chi guarda. Eppure l’obiettivo non è l’arte ma il guadagno immediato: più si produce, più si guadagna. Alcuni creator arrivano a realizzare decine di video in una settimana, costruendo un pubblico che premia l’assiduità più della qualità.
Il test degli spaghetti di Will Smith
Per misurare i progressi del settore si è affermato un benchmark tanto curioso quanto efficace: il “Will Smith Eating Spaghetti test”.
Funziona esattamente come suggerisce il nome: valutare quanto bene un sistema riesca a generare un video convincente dell’attore mentre mangia un piatto di spaghetti.
Solo un paio di anni fa i risultati erano caricature grottesche: spaghetti che colavano come plastilina, occhi che si deformavano in modo surreale. Oggi, come potete vedere qui sotto, i sistemi più avanzati producono clip quasi indistinguibili dalla realtà, con un solo indizio rivelatore: i rumori di masticazione sbagliati, perché l’IA non sa ancora come riprodurre fedelmente il suono del cibo.
Il test, per quanto bizzarro, racconta meglio di qualsiasi grafico la velocità con cui i modelli stanno migliorando.
Google, per esempio, con il suo Veo 3 ha già introdotto la possibilità di animare una foto statica in una clip di otto secondi, completa di audio sincronizzato. Un salto in avanti che fino a pochi mesi fa sembrava fantascienza.
Una nuova ‘gig economy’ digitale
Come ricorda il Washington Post, dietro a questo fenomeno c’è un’economia parallela che sta prendendo forma, una nuova ‘gig economy’. Questa espressione, nata per indicare quei “lavoretti” digitali a breve termine sorti con piattaforme on demand come Uber o Deliveroo, oggi ben si adatta all’universo dei video slop.
Studiosi e osservatori notano infatti come studenti universitari, casalinghe, precari e neo-disoccupati stiano scoprendo che con un paio d’ore al giorno dedicate ai video IA si possono guadagnare cifre non banali.
Per molti significa entrate extra, per altri un reddito mensile sufficiente a sostituire un lavoro tradizionale. Alcuni piccoli creator arrivano a incassare tra i 2.000 e i 3.000 dollari al mese, mentre i più abili (o semplicemente i più fortunati) hanno monetizzato clip virali con guadagni a cinque cifre.
Le piattaforme digitali alimentano il meccanismo. TikTok, YouTube e Instagram hanno creato programmi che ricompensano la viralità con pagamenti diretti.
A questo si aggiunge un indotto di manuali, corsi e “prompt drop”, ossia pacchetti di comandi preconfezionati per replicare uno stile, venduti ad aspiranti creator. In pochi mesi si è formata una vera industria di micro-imprenditori che trattano i video IA come se fossero corse in Uber: lavori brevi, ripetuti, con guadagni immediati.
Questa nuova forma di lavoro, definita da alcuni osservatori “slop money”, non richiede competenze avanzate di regia o montaggio ma solo la capacità di stare al passo con trend che possono durare anche pochi giorni.
L’attenzione infatti si sposta rapidamente da un meme all’altro, e i creator inseguono la prossima ondata virale senza preoccuparsi di morale o originalità.
Tra workflow complessi e futuro istantaneo
Oggi produrre un video IA di qualità richiede comunque un workflow articolato: c’è chi parte da ChatGPT per ideare il copione, passa a Midjourney per creare le immagini, usa ElevenLabs per generare voci realistiche e infine assembla tutto con strumenti come Sora di OpenAI o Movie Gen di Meta. Ogni fase ha un costo, e molti creator fissano un budget quotidiano per non spendere più di quanto incassano.
Ma questo scenario potrebbe durare poco. Se oggi servono ancora otto passaggi per arrivare a un video convincente, domani basteranno pochi secondi. La traiettoria è chiara: la produzione diventerà così rapida da eliminare qualsiasi barriera tecnica, rendendo chiunque in grado di generare contenuti con la stessa facilità con cui oggi si scatta una foto.
Le conseguenze rischiano di essere profonde non solo per i creator, ma per l’intero ecosistema dei contenuti online. Cosa succederà quando il mercato sarà saturo di video infiniti e indistinguibili dalla realtà? È una domanda che ci siamo già posti più volte su queste pagine e che riguarda non solo la creatività ma anche la nostra percezione della verità digitale.
Netflix e la rivoluzione “slop” per gli effetti speciali
Il salto nel mainstream è già arrivato. Ted Sarandos, co-CEO di Netflix, ha ammesso di recente che la piattaforma ha utilizzato strumenti di video IA per animare il crollo di un edificio in una serie di fantascienza argentina. Secondo Sarandos, la scelta è stata “dieci volte più veloce” e molto più economica rispetto a una squadra di effetti speciali tradizionale.
Per il mondo della VFX industry, fatto di professionisti che hanno costruito carriere su competenze raffinate e tempi di produzione lunghi, questo è un campanello d’allarme. Se le major iniziano a sostituire il lavoro umano con soluzioni generative, il rischio di una crisi occupazionale diventa tangibile. Non si tratta più soltanto di meme o video virali sui social: l’IA sta entrando direttamente nei set virtuali delle grandi produzioni.
L’IA sta dunque riscrivendo anche le regole dell’intrattenimento. E “slop” è il sintomo di un ecosistema in cui quantità e rapidità contano più della qualità. Il “test degli spaghetti” di Will Smith mostra i progressi tecnici, e la gig economy correlata conferma che ci sono già persone che vivono di questi strumenti. A questo aggiungiamo che persino Netflix dimostra che l’industria cinematografica non è immune.
La domanda finale è inevitabile: cosa succederà quando chiunque potrà creare video iper-realistici in pochi secondi? Qualunque sia la risposta, la certezza è che l’ondata di contenuti generativi è appena iniziata.


