Negli ultimi anni molti di noi hanno notato un fenomeno inquietante: dopo aver discusso privatamente di un argomento con amici o familiari, sui nostri dispostivi compaiono inserzioni pubblicitarie correlate a quanto detto.
Queste ‘coincidenze’ hanno alimentato il sospetto che gli smartphone possano ascoltare le conversazioni per indirizzare pubblicità mirate. Il sospetto ricade spesso sulle stesse applicazioni che erogano la pubblicità, ma a quanto pare il problema è a monte.
Apple patteggia per Siri
Il gigante tecnologico Apple ha infatti deciso di patteggiare una causa legale col pagamento di 95 milioni di dollari. L’accusa? Proprio il fatto che il suo assistente vocale, Siri, avrebbe registrato conversazioni private senza il consenso degli utenti, condividendole poi con terze parti.
Secondo i querelanti, Siri si sarebbe attivata autonomamente, captando e utilizzando dialoghi confidenziali. Il patteggiamento prevede, tra le altre cose, che Apple cancelli definitivamente tutte le registrazioni audio di Siri precedenti a ottobre 2019 e fornisca agli utenti informazioni chiare su come scegliere se contribuire al miglioramento del sistema.
È da notare che Apple, pur negando ogni illecito, ha deciso di pagare comunque la somma, quasi a volersi togliere un fastidio. Ma c’è da capirla, la multa in realtà per lei è irrisoria.
Nel quarto trimestre del 2024, infatti, Apple ha registrato un fatturato di 94,93 miliardi di dollari. Questo significa che, in media, l’azienda genera circa 1,03 miliardi di dollari al giorno (94,93 miliardi diviso 92 giorni).
In altre parole, i 95 milioni di dollari che Apple ha deciso di pagare corrispondono approssimativamente a 2,2 ore di fatturato. Dal che se ne evince che per la giustizia la nostra privacy vale ben poco.
Il precedente di Google
Prima di vendere i vostri iPhone, sappiate che dall’altra parte non si sta meglio. Anche Google, infatti, è stata accusata di pratiche analoghe con il suo assistente vocale.
Nel 2021 l’azienda ha infatti ammesso che il sistema a volte registrava conversazioni senza l’attivazione vocale “Ok Google”. Il che ha alimentato i timori degli utenti, preoccupati che i propri dispositivi possano ascoltare in modo continuativo le loro interazioni private.
Google, come Apple, ha risposto negando di utilizzare i dati raccolti senza autorizzazione esplicita.
Il problema appena esposto non si limita comunque ai soli giganti tecnologici. Cox Media Group, ad esempio, ha sviluppato la tecnologia “Active Listening”, progettata per raccogliere dati direttamente dalle conversazioni captate dai microfoni degli smartphone.
Questo sistema, secondo le accuse, sarebbe stato usato per creare profili dettagliati degli utenti e indirizzare pubblicità mirate.
Anche in Italia, il Garante per la protezione dei dati personali ha avviato indagini per verificare se alcune app utilizzino in modo improprio i microfoni degli smartphone per ascoltare conversazioni private, ampliando il raggio delle preoccupazioni legate alla privacy.
Il ruolo delle nostre attività online
Nonostante i timori legati a un potenziale ascolto non autorizzato, spesso gli annunci pubblicitari mirati derivano dall’analisi delle attività online degli utenti.
Interazioni sui social, cronologia di navigazione e ricerche su internet forniscono una base per gli algoritmi pubblicitari, capaci di prevedere gli interessi individuali.
Per salvaguardare la propria privacy è allora essenziale controllare le autorizzazioni concesse alle app, limitando l’accesso al microfono solo a quelle strettamente necessarie.
Inoltre, disattivare la personalizzazione degli annunci nelle impostazioni dei propri account Google o Apple può contribuire a ridurre il rischio di intrusioni indesiderate.


