Al Global AI Summit di Abu Dhabi, Microsoft ha annunciato ieri un investimento da 15,2 miliardi di dollari negli Emirati Arabi Uniti, confermando di fatto il ruolo strategico del Golfo come nuova frontiera della diplomazia tecnologica americana. L’accordo prevede anche le prime spedizioni ufficiali nel Paese delle GPU più avanzate di Nvidia, mai esportate prima d’ora in quella regione.
L’autorizzazione è arrivata direttamente dal Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti, che ha concesso a Microsoft una licenza speciale per inviare i chip nonostante le restrizioni in vigore.
La decisione segna un punto di svolta: gli Emirati diventano il primo Paese a ricevere legalmente componenti di fascia alta pure in presenza di alleanze ambigue con la Cina, trasformandosi così in un banco di prova per la “diplomazia dei semiconduttori” americana.
Un’alleanza che riscrive il potere tecnologico
Il via libera di Washington arriva dopo mesi di stallo. A maggio, il presidente Donald Trump e lo sceicco Mohamed bin Zayed al-Nahyan avevano firmato un’intesa per costruire ad Abu Dhabi un enorme campus dedicato ai data center per l’intelligenza artificiale. Il progetto era però rimasto bloccato dalle stesse norme di export control che limitano le vendite di chip ad alte prestazioni verso la Cina.
Ora, con la nuova licenza, Microsoft è diventata la prima azienda americana a poter aggirare quei vincoli in modo ufficiale. L’accordo non si limita a fornire tecnologia: consolida l’influenza degli Stati Uniti nel Golfo e ridisegna l’architettura delle relazioni geopolitiche legate all’IA.
“Abbiamo lavorato a fondo per rispettare i più severi requisiti di cybersicurezza e sicurezza nazionale previsti dalle licenze”, ha dichiarato l’azienda. Un impegno che le ha consentito di accumulare negli Emirati l’equivalente di 21.500 GPU Nvidia A100, in una combinazione di modelli A100, H100 e H200, le stesse unità di calcolo che alimentano i più avanzati modelli di IA generativa al mondo.
Microsoft: data center, capitale e formazione
Nel dettaglio, la cifra di 15,2 miliardi di dollari comprende anche gli investimenti avviati nel 2023.
Entro la fine del 2025, Microsoft avrà speso oltre 7,3 miliardi di dollari, suddivisi tra 1,5 miliardi di dollari di partecipazione azionaria in G42, la società sovrana emiratina dell’intelligenza artificiale, e 4,6 miliardi destinati alla costruzione e al potenziamento dei data center.
A partire dal 2026, l’azienda si è impegnata a investire ulteriori 7,9 miliardi di dollari, di cui 5,5 miliardi in nuove infrastrutture per IA e cloud. Abu Dhabi, nelle intenzioni di Redmond, diventerà il principale hub regionale per la ricerca, la formazione e lo sviluppo di modelli di IA, con un obiettivo ambizioso: formare un milione di cittadini entro il 2027.
Non è solo una questione tecnologica ma anche diplomatica. Gli Stati Uniti, che per decenni hanno esercitato la loro influenza attraverso la “diplomazia del petrolio”, stanno ora sostituendo quel modello con una nuova forma di soft power basata sulla “diplomazia dell’IA”.
I data center, in questo scenario, diventano le nuove basi geopolitiche dell’informazione e dell’energia computazionale.
Tra Washington e Pechino: la partita del Golfo
Il caso degli Emirati è emblematico di una strategia americana che vuole contrastare la penetrazione tecnologica cinese nella regione.
G42, la società su cui Microsoft ha scommesso 1,5 miliardi, è considerata da molti analisti un soggetto “ibrido”: formalmente indipendente ma con legami industriali consolidati con Pechino, tanto da essere finita nel mirino del Dipartimento del Commercio statunitense proprio per le sue collaborazioni passate con aziende cinesi.
L’accordo con Microsoft, quindi, non rappresenta solo un investimento: è un test politico, un esperimento di equilibrio tra sicurezza nazionale, business e alleanze strategiche.
Mentre l’azienda americana mette radici nel Golfo, il governo di Trump osserva se questa nuova formula di “diplomazia dell’IA” potrà davvero contenere l’influenza tecnologica cinese senza compromettere la propria.
Fonte: TechCrunch


