Gli Stati Uniti hanno dato un ulteriore giro di vite contro la Cina, introducendo rigide restrizioni sull’esportazione dei semiconduttori utilizzati per l’intelligenza artificiale.
Il ritardo nell’annuncio ufficiale delle misure ha però dato alle aziende cinesi il tempo di accumulare scorte, evidenziando la complessità e le difficoltà dell’amministrazione Biden nel contenere i progressi tecnologici di Pechino.
Stop agli HBM
Il provvedimento, annunciato dal Dipartimento del Commercio, segna il quarto tentativo in tre anni da parte di Washington di limitare l’accesso cinese alla tecnologia avanzata dei semiconduttori.
Le nuove normative vietano ai produttori di chip di memoria avanzata, noti come high-bandwidth memory (HBM), di esportare i loro prodotti in Cina senza un’autorizzazione specifica del Dipartimento del Commercio. Questi chip sono fondamentali per supportare i processori di intelligenza artificiale nei complessi calcoli richiesti dai sistemi di AI generativa.
Tra i principali produttori di HBM si annoverano SK Hynix e Samsung Electronics, entrambe sudcoreane, e Micron Technology, con sede negli Stati Uniti. Inoltre, 140 aziende cinesi sono state inserite nella lista nera commerciale, un’azione che ha provocato dure reazioni da parte di Pechino.
La portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Mao Ning, ha accusato gli Stati Uniti di “abusare delle misure di controllo sulle esportazioni” e di tentare di “bloccare e sopprimere la Cina” in modo malizioso. Ha inoltre affermato che le mosse americane “violano gravemente le leggi dell’economia di mercato”.
Le vulnerabilità nelle nuove restrizioni
Le nuove regole evidenziano il crescente distacco tra Stati Uniti e Cina, e a sottolinearlo è nientemeno che il Wall Street Journal.
Da un lato, i produttori statunitensi si trovano a dover eliminare le aziende cinesi dalla loro catena di fornitura diretta; dall’altro, queste restrizioni stanno incentivando Pechino a costruire un settore dei semiconduttori autosufficiente.
Nel maggio scorso, infatti, la Cina ha annunciato di aver raccolto 48 miliardi di dollari per finanziare il comparto, dimostrando la sua determinazione a superare le barriere imposte.
Le misure americane mostrano però alcune vulnerabilità.
Secondo gli esperti del settore, il ritardo tra la stesura delle norme e la loro ufficializzazione ha permesso alle aziende cinesi di acquistare semiconduttori e macchinari necessari prima dell’entrata in vigore delle restrizioni.
Non a caso Applied Materials, uno dei principali produttori statunitensi di apparecchiature per chip, ha registrato un aumento dell’86% nei ricavi delle vendite alla Cina nei primi nove mesi del 2024, sottolineando come Pechino abbia approfittato di questa finestra temporale.
A ciò si aggiunge il fatto che chip di memoria ad alta capacità delle generazioni precedenti potrebbero comunque rimanere disponibili per il mercato cinese, e che non tutte le strutture produttive legate a Huawei sono state incluse nella lista nera.
Proprio Huawei, nonostante anni di sanzioni, ha recentemente lanciato chip di intelligenza artificiale avanzati, in parte grazie all’uso di circuiti prodotti dalla Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC).
La scoperta ha provocato una risposta decisa da parte di Washington, che ha intensificato le pressioni su TSMC per rafforzare i controlli sull’uso dei suoi componenti.
Un settore in fermento
Le tensioni tra Washington e Pechino stanno anche influenzando l’industria globale dei semiconduttori.
Aziende come ASML, Applied Materials, Lam Research e KLA, hanno intensificato le loro attività di lobbying per mitigare l’impatto delle restrizioni, investendo oltre 4 milioni di dollari negli Stati Uniti nel 2024, una cifra quadruplicata rispetto al 2019.
Mentre gli Stati Uniti cercano di mantenere il loro predominio tecnologico, la Cina continua a dimostrare resilienza, avanzando nonostante le sanzioni.
Il confronto tecnologico tra le due potenze è destinato a intensificarsi, con ripercussioni che potrebbero ridefinire il panorama dell’innovazione globale.


