Nel 2016, mentre Pokémon Go conquistava il mondo, milioni di persone si riversavano per le strade con il telefono in mano, inseguendo Pokémon in un’inedita realtà aumentata.
Ma negli uffici dell’intelligence americana, quel fenomeno mondiale generava ben altri entusiasmi: preoccupazioni per la sicurezza nazionale e ipotesi di spionaggio digitale.
Nonostante la popolarità del gioco, alimentata dall’idea di “acchiapparli tutti”, l’ascesa di Pokémon Go si intrecciava con il contesto di una crescente sorveglianza digitale.
Le informazioni personali condivise dagli utenti per accedere a giochi o app rappresentavano una miniera d’oro per i servizi segreti, sempre più inclini a intercettare o acquistare dati privati. E Pokémon Go, con il suo accesso a GPS e fotocamera, sembrava un perfetto strumento di sorveglianza.
Pokémon Go: il successo imprevisto e i primi problemi
Lanciato da Niantic, una start-up nata in seno a Google, Pokémon Go si rivelò un successo straordinario, travolgendo le aspettative dei suoi stessi creatori.
Don McGowan, allora consulente legale della Pokémon Company, ammise di essere stato completamente impreparato: “Eravamo degli idioti. È stato come trovarsi su una spiaggia e vedere arrivare un’onda gigantesca.”
Mentre milioni di giocatori si muovevano freneticamente alla ricerca di Pokémon, Niantic si trovò ad affrontare situazioni inaspettate.
Ad esempio, cacciatori di Pokémon si avventurarono nei campi minati della Bosnia, costringendo McGowan a ottenere dal Dipartimento di Stato le coordinate GPS delle aree a rischio per disattivare il gioco in quelle zone.
Timori di spionaggio globale
Nel frattempo, in diversi Paesi si moltiplicarono le accuse contro Pokémon Go: in Indonesia e Egitto fu definito uno strumento di spionaggio, in Russia venne associato alla CIA, e in Cina fu bandito come minaccia alla “sicurezza geografica”.
Negli Stati Uniti, però, il gioco si diffuse senza restrizioni, apparendo persino alla Casa Bianca, al Pentagono e nei pressi di installazioni sensibili come la sede della NSA a Fort Meade.
Le agenzie di intelligence cominciarono a preoccuparsi. Pokémon che spuntavano vicino a siti segreti potevano rappresentare un rischio? L’ipotesi, per quanto improbabile, era che il gioco potesse essere usato da servizi stranieri per raccogliere dati sensibili o attirare giocatori in aree di interesse strategico.
“C’erano timori che Pokémon Go potesse funzionare come strumento di spionaggio,” ha ricordato un ex funzionario della NSA. Anche il Dipartimento dell’Energia sollevò preoccupazioni per la presenza di PokéStop all’interno di laboratori nucleari.
McGowan, però, sottolineò un problema più grave: “Se c’è un PokéStop in una struttura segreta, significa che qualcuno ha caricato una foto geolocalizzata di quel luogo su un server pubblico”.
La reazione delle agenzie di intelligence
Le autorità americane cercarono di correre ai ripari. Al Pentagono vennero emessi avvisi per evitare di giocare vicino a siti sensibili. Alla NSA, invece, un promemoria interno definì Pokémon Go “una app spia cinese”, con tono allarmistico e poco credibile. L’effetto fu controproducente: molti dipendenti continuarono a giocare in segno di sfida.
Nonostante i timori, non esistono prove che Pokémon Go sia mai stato utilizzato per scopi di spionaggio. Niantic, sviluppatrice del gioco, è un’azienda americana con investitori internazionali, tra cui Google e la giapponese Pokémon Company. La sua tecnologia, infatti, è più legata alla Silicon Valley che a trame di spionaggio.
Sebbene le accuse di spionaggio si siano rivelate infondate, Pokémon Go rappresenta un caso emblematico di come il successo tecnologico possa incontrare timori geopolitici.
E mentre milioni di utenti continuano a divertirsi con la realtà aumentata, i governi di tutto il mondo restano in guardia, consapevoli che, nella nuova era digitale, anche un gioco può trasformarsi in un potenziale strumento di sorveglianza o in una fonte di paranoia globale.


