OpenAI ha completato la trasformazione che inseguiva da lungo tempo: da organizzazione non profit nata per “democratizzare l’intelligenza artificiale”, è diventata una società a scopo di lucro.
Con questa mossa, la creatura di Sam Altman ha aperto la strada a una futura quotazione in Borsa e, nel frattempo, ha spinto la capitalizzazione di Microsoft oltre i 4.000 miliardi di dollari. La nuova struttura è quella di una public-benefit corporation, una forma ibrida che combina la missione pubblica con la possibilità di generare profitti.
Microsoft ne deterrà il 27%, mentre la casa madre non profit, che ora si chiamerà OpenAI Foundation, manterrà una partecipazione da 130 miliardi di dollari con l’obiettivo di reinvestire parte dei proventi in progetti di sanità e resilienza dell’intelligenza artificiale.
OpenAI tra filantropia e mercato
La conversione arriva dopo mesi di negoziati con le procure generali della California e del Delaware e con le molte realtà preoccupate che la nuova forma societaria possa snaturare la missione originaria di OpenAI.
Ma per Altman e il suo team era una condizione imprescindibile: alcuni investitori avevano infatti vincolato i propri impegni economici alla realizzazione della trasformazione entro la fine dell’anno.
La posta in gioco è alta, perché la nuova struttura non solo semplifica la raccolta di capitali e l’assunzione di nuovi talenti, ma apre anche a una possibile IPO.
“Quando Microsoft fece i primi investimenti, nessuno poteva immaginare quanto grande e potente sarebbe diventata OpenAI nell’ecosistema del software e dell’intelligenza artificiale”, ha spiegato Jackson E. Ader di KeyBanc Capital Markets. “OpenAI voleva spiccare il volo prima o poi. Era naturale”.
Microsoft: alleato e concorrente
L’intreccio tra Microsoft e OpenAI è diventato negli anni un caso di studio: da partner strategico a rivali tecnologici, i due colossi hanno imparato a convivere in una zona grigia di collaborazione e competizione.
Microsoft ha investito complessivamente 13,75 miliardi di dollari dal 2019, con un rendimento quasi decuplicato, e oggi ottiene i diritti esclusivi di proprietà intellettuale sulla tecnologia di OpenAI fino al 2032.
Allo stesso tempo, OpenAI ha firmato un nuovo accordo da 250 miliardi di dollari per i servizi cloud Azure ma Microsoft non avrà più il diritto di prelazione come fornitore di calcolo.
È un equilibrio instabile, che Nadella sintetizza così: “La mia mentalità è tutta orientata alla piattaforma. Sono felice di lavorare con OpenAI. Mi piacerebbe collaborare con Anthropic, [Microsoft AI], Grok — chiunque. Se Google vuole portare Gemini su Azure, lo faccia pure”.
Dietro le parole del CEO, però, si intravede una nuova fase: Microsoft punta a una maggiore indipendenza tecnologica mentre sviluppa i propri modelli e amplia le capacità di Copilot, il suo assistente basato su IA.
La bolla dell’intelligenza artificiale
Intanto gli investitori osservano con crescente preoccupazione la velocità con cui il capitale si muove nel settore. In soli due mesi, le azioni di Oracle, Nvidia, AMD e Broadcom sono schizzate dopo l’annuncio di accordi legati a OpenAI, aggiungendo complessivamente 630 miliardi di dollari di valore in un solo giorno di contrattazioni.
C’è chi parla ormai apertamente di una “bolla dell’intelligenza artificiale”, alimentata proprio dai legami circolari tra i grandi player ( OpenAI, Microsoft, Nvidia), che si scambiano investimenti, servizi cloud e partecipazioni incrociate in un ecosistema sempre più autoreferenziale.
Il risultato è che OpenAI, nata per bilanciare il potere delle big tech, oggi ne incarna perfettamente la logica. E la sua metamorfosi in public-benefit corporation potrebbe diventare, paradossalmente, il simbolo più eloquente di un’IA che nasce per essere pubblica e finisce per diventare la nuova frontiera del capitalismo privato.
Fonte: The Wall Street Journal


