Negli Stati Uniti, il confine tra sicurezza e controllo non è mai stato così sfumato.
In poche settimane, l’agenzia federale ICE (Immigration and Customs Enforcement) ha firmato una serie di contratti per l’acquisto di tecnologie di sorveglianza: scanner per l’iride, software di riconoscimento facciale, spyware capaci di violare smartphone e sistemi in grado di tracciare la posizione di un telefono anche senza un mandato giudiziario.
Ufficialmente, si tratta di strumenti per identificare e deportare immigrati privi di documenti. Ma i documenti federali raccontano un’altra storia: una parte di queste tecnologie è destinata anche a monitorare ciò che l’amministrazione Trump definisce “gruppi estremisti anti-ICE”. Un’etichetta che, di fatto, include i movimenti di protesta legati ad Antifa, ora classificati come organizzazione terroristica interna.
Il presidente Trump ha descritto il movimento come “una rete militarista e anarchica che punta a rovesciare il governo degli Stati Uniti”. E ha ordinato alle agenzie federali di usare “tutte le autorità disponibili” per smantellarlo.
ICE: da agenzia per l’immigrazione a macchina di sorveglianza
Nata nel 2003 dopo l’11 settembre, ICE doveva occuparsi di immigrazione e dogane. Ma negli anni si è trasformata in una struttura con poteri investigativi molto più estesi, spesso sovrapposti a quelli dell’FBI e della NSA.
Oggi, sotto la guida di Todd M. Lyons, l’agenzia gestisce un apparato tecnologico da miliardi di dollari. Solo a settembre ha sottoscritto oltre 1,4 miliardi in nuovi contratti, molti dei quali destinati alla “sorveglianza avanzata”. Tra questi figura un accordo con Palantir, la società cofondata da Peter Thiel, per la creazione di “ImmigrationOS”, una piattaforma che traccia in modo capillare i movimenti degli immigrati e perfino i casi di “auto-deportazione”.
A questo si aggiungono 3,75 milioni di dollari per il software di riconoscimento facciale Clearview AI, già noto per le sue banche dati estratte dai social network, e milioni per lo spyware Graphite di Paragon Solutions, in grado di accedere a distanza ai dati di un telefono, anche se protetto da crittografia end-to-end. In pratica, un arsenale digitale degno delle agenzie di intelligence più aggressive del mondo.
Il “complesso industriale” della sicurezza
La nuova rete di sorveglianza americana non è più solo pubblica. È alimentata da un ecosistema privato di aziende tech che forniscono software e hardware di monitoraggio al governo federale.
Clearview AI, Palantir, Paragon, Penlink, Skydio sono nomi che fino a pochi anni erano limitati ai conoscitori della Silicon Valley e che oggi sono parte integrante della macchina della sicurezza nazionale.
In tale contesto, ICE si è trasformata nella cerniera tra potere politico e tecnologia. Il suo compito ufficiale resta quello di garantire “ordine e legalità”, ma l’estensione dei suoi strumenti è ormai tale da permettere una sorveglianza di massa senza precedenti: non solo immigrati irregolari ma anche attivisti, giornalisti e oppositori.
Non si tratta più soltanto di controllo fisico. ICE ha infatti avviato la creazione di un team di 16 analisti incaricati di scandagliare i social network per individuare “potenziali minacce”. Tra le piattaforme citate nei documenti figurano Facebook, X, TikTok, LinkedIn, Reddit, WhatsApp, YouTube, Pinterest, Tumblr, Instagram, Flickr e Myspace.
L’obiettivo dichiarato è “identificare attività di terrorismo interno e internazionale”, ma nella pratica significa poter raccogliere informazioni anche su familiari, amici e colleghi delle persone monitorate.
Il paradosso americano
Mentre Washington critica la Cina per la sorveglianza di Stato e difende la libertà digitale come valore fondante dell’Occidente, le agenzie federali americane stanno costruendo una propria infrastruttura di controllo interno.
Il senatore democratico Ron Wyden ha espresso “estrema preoccupazione per l’uso da parte di ICE di spyware e riconoscimento facciale che rischiano di calpestare i diritti costituzionali degli americani”.
Secondo gli esperti di privacy, l’agenzia potrebbe violare sia il Primo Emendamento, che tutela la libertà di parola e di associazione, sia il Quarto, che proibisce perquisizioni e sequestri irragionevoli.
A complicare il quadro c’è l’assenza di supervisione. Gli uffici interni di controllo etico di ICE e del Dipartimento per la Sicurezza interna, che in passato vigilavano sull’uso corretto delle tecnologie investigative, sono stati ridimensionati o chiusi durante l’amministrazione Trump. Come ha ammesso un ex direttore dell’agenzia, “alcuni di questi binari di sicurezza stanno venendo rimossi”.
I confini della democrazia
In teoria, ICE sorveglia per proteggere. In pratica, il confine tra sicurezza nazionale e repressione politica si fa ogni giorno più sottile.
La retorica è sempre la stessa: il nemico esterno giustifica la stretta interna. Ma stavolta il “nemico” è dentro i confini, nelle strade, nei post sui social. Non a caso Trump, nel video qui sotto, parla apertamente di guerra dall’interno.
L’America che per decenni ha esportato l’idea di libertà si ritrova allora a maneggiare oggi gli stessi strumenti di controllo che un tempo condannava negli altri.
E mentre gli occhi elettronici dell’agenzia scrutano volti, messaggi e movimenti, la domanda resta aperta: fino a che punto una democrazia può guardare dentro se stessa, senza smettere di esserlo?
Fonte: The Washintgon Post


