Brendan Carr, l’uomo forte della F.C.C. che controlla i media americani

da | 19 Set 2025 | Politica

Brendan Carr, presidente della Federal Communications Commission (F.C.C.)

La sospensione a tempo indefinito del programma Jimmy Kimmel Live da parte di ABC ha scosso il dibattito americano sulla libertà di parola.

Al centro della vicenda c’è Brendan Carr, presidente della Federal Communications Commission (F.C.C.), l’agenzia federale che vigila sulle trasmissioni radiotelevisive negli Stati Uniti.

È stato proprio Carr, in un podcast di area conservatrice, a criticare duramente i commenti di Kimmel sull’uccisione dell’attivista di destra Charlie Kirk, arrivando a evocare possibili “rimedi” regolatori contro l’emittente.

Poche ore dopo, la rete televisiva ha deciso di sospendere il talk show notturno, innescando una tempesta politica: i democratici hanno parlato di pressioni indebite, mentre il presidente Donald Trump ha salutato la notizia come “una grande vittoria per l’America”.

Cos’è la FCC e perché ne parliamo

La Federal Communications Commission è l’ente indipendente che regola l’intero settore delle comunicazioni negli Stati Uniti, dalle licenze per radio e televisioni fino al controllo sulle frequenze pubbliche.

Ha il potere di approvare o bloccare fusioni tra colossi dei media e delle telecomunicazioni, di stabilire regole sull’uso dello spettro e di revocare le autorizzazioni a emittenti che non rispettino il cosiddetto “interesse pubblico”.

In teoria non può censurare direttamente i contenuti ma basta la minaccia della revoca di una frequenza per indurre qualsiasi emittente a miti consigli. Ecco perché il suo margine di discrezionalità è ampio e perché, negli anni, la Commissione è diventata uno strumento cardine nei rapporti tra politica e informazione.

Carr, un avvocato diventato regolatore

Carr, 46 anni, ha costruito la sua carriera a cavallo tra diritto e politica. Dopo una prima fase come avvocato per aziende del settore delle telecomunicazioni, è entrato alla F.C.C. nel 2012 come consulente legale.

Con l’arrivo di Trump alla Casa Bianca, ha scalato rapidamente i vertici dell’agenzia, sostenuto da Ajit Pai, presidente della Commissione durante il primo mandato.

Nel 2017 Carr è stato nominato commissario repubblicano e, nel gennaio scorso, lo stesso Trump lo ha promosso alla guida della F.C.C, definendolo “un guerriero della libertà di parola” che ha combattuto contro il “lawfare regolatorio” capace di soffocare l’economia americana.

Il legame con Trump e la destra conservatrice

Carr ha fatto della lotta ai media tradizionali un tratto distintivo della sua carriera pubblica. Frequente ospite di Fox News e molto attivo sui social, ha spesso accusato la stampa di pregiudizi liberali.

Non a caso ha contribuito alla stesura del capitolo della F.C.C. all’interno di Project 2025, il manuale programmatico redatto per la campagna di Trump. In quel documento sosteneva che l’agenzia dovesse concentrare i propri sforzi sul contenimento delle big tech, accusate di censura.

Le sue posizioni lo hanno reso popolare tra i circoli conservatori di Washington, dalla Heritage Foundation alla Federalist Society. Prima delle elezioni, aveva anche stretto rapporti con Elon Musk, allora vicino a Trump, mostrandosi spesso in eventi legati a SpaceX e rilanciando le battaglie dell’imprenditore sui social.

Indagini, cause legali e fusioni miliardarie

Dalla sua nomina alla presidenza della F.C.C., Carr ha impresso una forte accelerazione alla linea dura nei confronti dei broadcaster.

Ha riaperto procedimenti contro CBS, NBC e ABC per presunti pregiudizi politici che l’amministrazione Biden aveva archiviato. Ha inoltre avviato un’indagine interna su politiche di diversità e inclusione, bollate come discriminatorie.

Il caso più clamoroso riguarda però CBS: nell’ottobre 2024 un gruppo conservatore ha accusato il format 60 Minutes di aver montato un’intervista con Kamala Harris in modo favorevole all’ex vicepresidente.

Carr ha collegato quella denuncia alla fusione da 8 miliardi di dollari tra Paramount, casa madre di CBS, e Skydance. Pochi mesi dopo, Paramount ha chiuso una causa intentata da Trump contro CBS con un accordo da 16 milioni di dollari.

Solo allora Carr ha dato il via libera alla fusione, dando così vita a un intreccio che ha sollevato pesanti dubbi sul ruolo della F.C.C. come arbitro imparziale.

Un potere enorme sulle licenze

Il vero potere di Carr, dicevamo poco sopra, risiede nelle licenze che l’agenzia assegna a radio e televisioni per trasmettere sulle frequenze pubbliche.

Formalmente la F.C.C. non può vietare la diffusione di contenuti per ragioni politiche ma può revocare le autorizzazioni se ritiene che un’emittente non serva l’interesse pubblico. È una formula volutamente ampia che consente ampi margini di manovra.

Gli esperti di telecomunicazioni sostengono che mai un presidente della F.C.C. abbia usato questa discrezionalità come Carr per colpire contenuti ritenuti offensivi.

Oltre alle licenze, l’agenzia ha potere di vita o di morte sulle grandi fusioni nel settore media e telecomunicazioni. Ed è in questo campo che il caso Kimmel, con le minacce implicite di Carr e la sospensione immediata da parte di ABC, ha riacceso i timori sul rischio di un controllo politico sempre più stretto.

Da Nexstar a Tegna

Un elemento che aiuta a capire la rapidità con cui ABC ha deciso di sospendere il programma riguarda la posizione delle sue affiliate. Nexstar Media Group, il principale gruppo di stazioni locali legate ad ABC, è infatti in attesa dell’approvazione della F.C.C. per un’acquisizione da 6,2 miliardi di dollari della società Tegna. Una trattativa di queste dimensioni rende il gruppo particolarmente esposto a pressioni regolatorie: ogni segnale di conflitto con la Commissione potrebbe infatti complicare il percorso di autorizzazione.

È molto probabile, dunque, che la linea dura di Carr su Kimmel abbia pesato come un ulteriore fattore di vulnerabilità per l’emittente. Va però detto, per dovere di cronaca, che il suo show non stava andando bene. Un mese fa lo show ha avuto in media 1,1 milioni di spettatori, un calo del 43% rispetto ai circa 1,95 milioni registrati a gennaio dello stesso anno.

Al tempo stesso, Carr ha definito i commenti di Kimmel “parte di uno sforzo concertato per mentire al popolo americano”. E ha avvertito che la F.C.C. ha gli strumenti per reagire: “Francamente, quando vedi cose del genere, possiamo farlo alla maniera facile o a quella difficile”, ha detto Carr al conduttore del podcast, Benny Johnson. “Le aziende possono trovare modi per cambiare condotta e intervenire, francamente, su Kimmel, oppure ci sarà altro lavoro da fare per la F.C.C. in futuro.”

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Carr potrebbe dunque aver solamente accelerato il licenziamento di Kimmel, o aver offerto alla sua emittente il pretesto per liberarsi del conduttore di uno spettacolo in declino, magari con giusta causa.

Resta il fatto che in un’America dove la libertà di parola è sempre più campo di battaglia, un conduttore televisivo tra i più noti è stato messo alla porta, mentre l’uomo che guida l’agenzia chiamata a difendere il pluralismo si è trasformato in uno dei principali protagonisti della guerra culturale in atto.

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